3 settembre 1910 – lettera manoscritta di Fracchia Umberto a d'Amico Silvio su carta intestata de «L'Idea Nazionale», Roma.

Ultima modifica 8 gennaio 2020

1910 settembre 3 – lettera manoscritta di Fracchia Umberto a d'Amico Silvio su carta intestata de «L'Idea Nazionale», Roma.

 Caro Silvio, ti aspettavo presto, ma Occhini dice che non ritornerai prima d'una settimana. È un peccato perché il teatro, per la questione con la Società degli autori, è in un periodo assai interessante e tu potresti fare cose magnifiche. Intanto ti segnalo un movimento determinatosi in questi giorni, capitanato dalla fazione sicula, e di cui dovrebbe farsi interprete il povero e buon Chiarelli, a Milano, alla prossima assemblea. Si tratta semplicemente di escludere dai teatri italiani tutto il repertorio straniero. Idea, come vedi, medievale, con la quale si vogliono ammazzare le compagnie e il pubblico, e, nel nome di un nazionalismo artistico ridicolo quanto idiota, aiutare i propri interessi fondati, infine, su delle brutte commedie e su dei drammi disgraziati. Sarebbe utilissimo che tu scrivessi un articolo, accennando come spunto a questa tendenza, per dichiararti, come certo sei, contro una simile balordaggine, e spiegarne le ragioni. Dobbiamo entrare a fondo nella polemica. Oltre che giusto, è utile per il giornale. Questo tuo articolo andrebbe come elzeviro, e, intanto, porrebbe chiaramente la questione da un punto di vista teorico. Potrebbe essere intitolato: Il teatro all'arte, intendendo che le opere di teatro, come tutte le opere dello spirito, non hanno cittadinanza territoriale, ma appunto soltanto una cittadinanza spirituale. Che appartengono cioè alla Nazione dell'Arte, e il solo nazionalismo sensato e ammissibile è appunto quello che ne riconosce e ne consacra il valore artistico. Tutto ciò è risaputo e vecchio come il mondo, da per tutto, fuorché in Sicilia. Come va la tua salute? Ritorna presto, perché abbiamo la più viva nostalgia dei tuoi strilli.

Saluta per me la tua Signora, un abbraccio dal tuo Fracchia