20 febbraio 1924 - lettera manoscritta di Fracchia Umberto a d'Amico Silvio su cartoline intestate «Casa Editrice A. Mondadori – Ufficio letterario».

Ultima modifica 8 gennaio 2020

P.S. Mondadori sarà qui soltanto sabato. Milano, 20-II-1924

Caro Silvio, grazie della tua lunga lettera. Le cose che tu mi dici circa la tua entrata alla Scuola di S. Cecilia sono della maggiore importanza. Non capisco perché, accettando una cattedra, ti rifiuti la direzione, sia pure provvisoria. Io credo che bisogna occupare comunque i posti direttivi: e quindi, se posso darti un consiglio, vorrei che tu considerassi altrimenti l'occasione che ti si offre. Anch'io avevo pensato a te come al migliore organizzatore e direttore di Scuole del teatro che si possa avere oggi in Italia. E per ciò mi dispiace che tu rifiuti proprio questo posto. Queste scuole io le concepisco strettamente connesse al teatro: e pensando a teatri non statali, sebbene protetti dallo Stato, pensavo a scuole non governative, ma, dico così, pareggiate. Ma questi non sono che particolari e bisognerà adottare il sistema più facilmente attuabile. Importerebbe secondo me che le due scuole di Roma e di Milano (due perché i due teatri hanno bisogno di servirsi egualmente degli allievi come generici e comparse) fossero rette da programmi, regolamenti e metodi identici, e modernamente organizzate: nel senso che dovrebbero insegnare non solo la letteratura, la storia, la dizione, la recitazione ecc. ma il canto, la danza, le buone maniere, la mimica, e tutto in forma pratica. Non so che cosa si insegni a Santa Cecilia. Il metodo certamente sarà sbagliato. In ogni modo di tutte queste cose bisogna discorrere. Quanto al resto, io sono del parere che i piccoli teatri e quindi i piccoli esperimenti, se possono interessarci come spettatori e come artisti, non servono a nulla, se non a disperdere le poche forze che dovrebbero essere rivolte a scopi molto più importanti. Non mi pare che non ci sia ormai più niente da sperimentare. A questo hanno provveduto francesi, belgi, tedeschi in ogni modo. Se uomini come noi dovessero compiere uno sforzo questo sforzo deve essere diretto a realizzare e non tenuto a sperimentare; ad agire cioè sopra la gran massa del pubblico di ogni sera, e non su le piccole assemblee di intellettuali; insomma a creare un vero teatro di prosa nazionale. Io sono quindi per un grande organismo, per i grandi teatri, per i grandi repertori, per la grande scenografia. Ripeto che il mio progetto è di presentare all'Ente Nazionale, se si costituirà, o a Mussolini, se i nostri amici politici vorranno aiutarci sul serio, o ad alcuni finanzieri milanesi che so non sfavorevoli ad una simile impresa (e questa via sarebbe forse la più spiccia e la più conveniente) un piano completo dell'Istituto. Ti ringrazio di avermi promessa la tua collaborazione. Aspetto di sapere se Chiarelli andrà a Londra o no, per venire a Roma, e avere con te e con lui un esauriente scambio di idee. Intanto ti raccomando sempre un prudente riserbo e ti abbraccio con tutto il cuore.

Tuo Fracchia