20 marzo 1925 – minuta di d'Amico Silvio a Fracchia Umberto su carta intestata “Silvio d'Amico. «L'Idea Nazionale». «Il resto del Carlino»”, Roma.
Roma, 20 marzo 1925 Carissimo, leggo e riporto in gran parte sull'Idea, quello che scrivi sulle Scuole di Recitazione. Hai sbagliato in qualche cifra, perdendoti in quelle del 1920. Ma in sostanza hai ragione; e, perché tu possa continuare (se credi) ti do io altre notizie Dunque della Scuola di Santa Cecilia, per cui Colasanti mi aveva un anno fa invitato a proporre le riforme, s'era deciso: 1°) Insegnamento – 3 maestri di recitazione (1°, 2° e 3° corso); 1 professore di Storia del Teatro; 1 insegnante straordinario di Storia del Costume – Insegnamenti straordinari di 205 danza e di scherma. 2°) Locali – Escluso il progetto di Marcello Piacentini per coprire il vasto cortile di Santa Cecilia trasformandolo in un bel teatrino moderno (preventivo 380.000 lire: che vuol dire, con Piacentini, un consuntivo almeno doppio) si è accettata l'idea di trasformare in teatrino la piccola ex chiesa delle Orsoline, attigua all'Accademia. Ci saranno sì e no 200 posti; ma il locale è graziosissimo. Il progetto, preparato dalla Sovrintendenza ai monumenti, già da sei mesi girando i vari uffici che dovrebbero approvarlo. Ma non costerà più di 80 o 90 mila lire. Questo locale ci darà modo: di render pubbliche le lezioni di Storia del Teatro (mie) e di Storia del Costume (di Achiardi, con proiezioni) – di fare, anche, qualche corso di conferenze – infine di avere una decente sede pei saggi, in cui si vorrebbero rappresentare commedie poco solite nei grandi teatri (Molière, Marivaux, De Musset, spagnoli, ecc.) invitando la stampa e chiamando gli allievi dell'Istituto di Belle Arti (scuole di De Carolis e di Vitt. Grassi) a far le messinscene. 3°) Unione con un teatro d'arte – Il teatro d'arte non c'è: dico il grande teatro, senza cui in fondo la Scuola non è concepibile: e per ora si ricorre all'unico sovvenzionato, che è quello di Pirandello. Dieci allievi partecipano alla Sagra del signore della Nave e agli Dei della montagna; e vedranno, così, come si mette in scena un lavoro. Però io, nella pratica, ho subito avvertito la difficoltà di mettere d'accordo i criteri di Pirandello con quelli degli insegnanti della Scuola. È necessario che Scuola e Teatro abbiano una direzione unica. E perciò credo che per l'avvenire, almeno finché il Teatro di Stato non si farà, il teatro d'arte dovremo farcelo da noi. In nove mesi si possono metter su bene almeno 5 o 6 spettacoli del genere che t'ho detto sopra: magari ricorrendo per le parti principali che gli allievi naturalmente non possono sostenere, ad attori o ex allievi, i quali in Roma si troveranno sempre. 4°) La biblioteca – Corrado Ricci tiene, abbandonati in una stanza dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte a palazzo Venezia (erede dell'antica, bellissima biblioteca della Direz. Generale Belle Arti) sei o settemila volumi di teatro (Boutet, donazione Ruffo, donazione Pagliara). Io sto insistendo perché me li dia in deposito. Colasanti mi ha fatto sperare una piccola dotazione annua per colmare a poco a poco le lacune e abbonarmi alle principali riviste e periodici di teatro. Tutto questo era già bene avviato. Avevo per colleghi, oltre il d'Achiardi ch'è ―[...]‖, la signora Carloni–Talli che è ottima, e il buon Gattinelli che è quello che è, ma molto cortese e remissivo. Ho ottenuto le tessere di quattro teatri (Argentina, Valle, Quirino, Nazionale) per gli allievi. Le lezioni di d'Achiardi, che dapprincipio non piacevano, ora che sono accompagnate da proiezioni interessano gli alunni. Due di questi mi copiano le dispense della mia Storia del Teatro, che prima o poi pubblicherò (visto che in Italia non c'è niente del genere!). In conclusione, gli allievi da 12 ch'erano l'altr'anno son saliti a 25; e alcuni sono intelligenti, quattro o cinque recitan […] veramente bene. Si [...] dunque di preparare, per quest'anno, almeno un buon saggio (il locale non sarà pronto che a giugno). Ma, soppressa la Scuola di Firenze, la signora Vitaliani che la dirigeva (per esservi stata nominata, senza il parere di nessuna Commissione, da Alfredo Baccelli) avrebbe dovuto esser messa a riposo. E vive in mezzo alla strada. Questione di pane. Io dissi, fin dall'altr'anno, al Ministero: ―Nominatela insegnante a Roma, se proprio volete mantenerla; ma direttrice no‖. Invece, non so per merito di chi, l'hanno mandata qui come direttrice. E tutto minaccia d'andare a rotoli. Non posso riferirti che molto sommariamente i criteri da essa manifestati e adottati negli otto giorni dacché è venuta da noi. Naturalmente questi tieniteli per te: faresti un cattivo servizio anche a me pubblicandoli. Ma in sostanza son questi: - l'arte drammatica si insegna facendo una parte, e poi invitando l'allievo a imitare il maestro – spiegare (come io faccio) i criteri di interpretazione non serve a nulla – è sciocco metter su commedie poco 206 note, nei saggi: bisogna far recitare vecchie commedie (non ti dico quali!) - agli allievi del 1° anno, va cominciando a far studiare, di prim'acchito, l'Aminta del Tasso, e poesie di Schiller tradotte da Maffei, e scene di Goldoni! - Va pure approvando che gli allievi di quel corso (vale a dire, che recitano da 3 o 4 mesi) studino La Gioconda e il Ferro di d'Annunzio! E siccome naturalmente essi cantano quella prosa, ella pretende d'insegnare a dirla, a parlarla – sostiene che i versi, sia lirici che drammatici, van recitati come la prosa – ecc. ecc. Insomma una tegola sul capo. Senonché, proprio di questi giorni, il Ministero va pure compnendo una Commissione artistica per la Scuola di Recitazione, presieduta dal conte di S. Martino, membri Vincenzo Morelli, Fausto M. Martini, Franco Liberati e il comm. Fedele delle Belle Arti, col compito di provvedere al definitivo riordinamento dell'istituto, e a migliorarne l'andamento. Son tutti miei buoni amici. Invitato dalla commissione, io sono intervenuto ieri all'adunanza e ho vuotato il sacco. Adesso si faranno, dunque, uno statuto e un programma, in cui saranno tracciati riguardosissimamente le norme per l'ammissione e la ripartizione degli allievi, i limiti e i metodi dell'insegnamento da impartirsi, il numero dei saggi e i criteri di scelta per le commedie da rappresentarvi, ecc. È quanto si può fare: ma forse basterà. Per finire. Alle lezioni di danza e di scherma si è rinunziato per impossibilità di trovarne insegnanti. Perché, sai tu come compensa lo Stato gl'insegnamenti straordinari impartiti nelle sue scuole secondarie (a cui Santa Cecilia è parificata)? In ragione di 350 lire lorde (315 nette) all'anno per ogni ora settimanale di insegnamento. Ora siccome non si sarebbe potuto, per ragioni di tempo, consacrare alla scherma e alla danza più di una o due ore la settimana, me lo dici tu chi sarebbe venuto a far lezione con quel compenso? (Che è accettato da d'Achiardi! Ma d'Achiardi lo fa per passione; ed ha altri insegnamenti stabili, nell'Istituto Superiore di Belle Arti).