5 giugno 1924- lettera manoscritta di Fracchia Umberto a d'Amico Silvio su cartoline intestate «Casa Editrice A. Mondadori – Ufficio letterario».
Caro Silvio, eccoti, subito, una parola. Ma io sono esaurito nel far progetti: non ne posso più. Credo che la mia proposta sia in sostanza la più pratica. Se lo Stato vuol fare qualche cosa, ci metta in condizioni di sapere che cosa può fare. In realtà questo – esattamente – non lo sappiamo noi stessi. Sono cose che non si inventano. Ci diano un mandato preciso e lo assolveremo come pochi altri farebbero. Questo è il punto. Le ultime righe sono un allarme per quanto riguarda il povero Ente del Teatro. Sono in lotta due gruppi: da una parte Giordani, dall'altra Ciarlantini, Ortali, Casa Sonzogno. La padella e la brace. Sarebbe preferibile che di questo Ente non si parlasse mai e mai più. Con Giordani vedo le ombre di Niccodemi e Forzano, come realizzatori artistici. Con gli altri, il buio e la scemenza. Il guaio è che il prossimo Consiglio del Teatro – al quale bisogna assolutamente che tu non manchi – vorrebbe in massima deliberare: per lo meno approvare un progetto. Sono cose sempre pericolose, dato il regime attuale. Quindi io non vedrei salvezza se non in un atto di governo, indipendente da questi organi, sindacati, corporazioni ecc. È possibile ottenerlo? Siete capaci di ottenerlo da Mussolini? La nomina della mia commissione non sarebbe già un fatto compiuto? Naturalmente non spero gran che: parlo per scrupolo di coscienza. Qui intanto andiamo innanzi col progetto che sai, e, fatti gli scongiuri, tutto pare ben avviato.
Ti abbraccio.
Tuo Umberto